
Diego Velázquez, La resa di Breda (particolare), 1634-1635, Museo del Prado, Madrid
Carissime, carissimi,
diversamente da come faccio di solito, in testa alla mia lettera non ho messo l’immagine di un’ opera d’arte realizzata da un autore originario del nostro Distretto o che si trova nel nostro territorio, ma un particolare di un quadro di Velázquez custodito al Prado. Uno dei suoi due protagonisti, però, è un nostro conterraneo: si tratta di Ambrogio Spinola, nato a Genova e morto a Castelnuovo Scrivia.
L’altro è il tedesco Maurizio di Nassau. Se ci fosse chiesto di descrivere il quadro senza che sapessimo che cosa rappresenta, diremmo che assistiamo all’incontro di due amici, che si salutano con una
cortesia sincera, pieni di rispetto, garbo e simpatia reciproca. Maurizio porge un mazzo di chiavi ad Ambrogio e abbozza una riverenza, mentre Ambrogio gli tocca il braccio per impedirgli d’inchinarsi
con un sorriso cordialissimo.
Il dipinto, assai noto, raffigura in realtà la resa di Breda, che conclude un’operazione di guerra lunga e sanguinosa, e l’incontro è tra un vincitore e un vinto: non nasce da un convegno di gentiluomini in una corte seicentesca, ma da un conflitto cruento. Ci troviamo allora di fronte a una gentilezza di maniera, convenzionale o ipocrita? Non è così: quando, in questo periodo storico, sono rappresentate situazioni simili, s’insiste sull’umiliazione di chi è stato sconfitto e sulla gloria, a volte tronfia, dei vincitori, mentre qui Velázquez vuole comunicarci un messaggio diverso. Benché guerre e violenze siano inevitabili (nell’Europa del ’600 se ne contano molte, e tra esse la “guerra degli 80 anni”, di cui fa appunto parte l’assedio di Breda) e i conflitti non finiscano mai e paiano essere nell’ordine delle cose, da essi, sembra volerci suggerire il pittore, possiamo prendere le distanze se riusciamo a coltivare dentro di noi quelle virtù di affabilità, di benevolenza, di cortesia che ci rendono esseri umani migliori.
Febbraio è, nel calendario rotariano, il mese della “costruzione della pace e prevenzione dei conflitti”: il Rotary punta dunque i riflettori su un tema che nei tempi odierni, caratterizzati da un forte incremento della violenza politica, dei focolai di guerra, delle situazioni potenzialmente esplosive, è quantomai urgente. La Fondazione Rotary promuove importanti programmi in proposito, a partire da quelli che riguardano i Centri per la Pace, collegati alle borse di studio relative. Anche a livello distrettuale organizziamo tante iniziative: si pensi alla collaborazione con l’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario di Sanremo, ai tanti Club che hanno aderito al programma Peacebuilder, ai soci che partecipano al Rotary Action Group for Peace, alla presenza di un gruppo di lavoro attivissimo dedicato alla pace, ai donatori che hanno scelto questo obiettivo per la loro generosità.
Sebbene i conflitti armati siano dovuti a dinamiche internazionali complesse, nei confronti delle quali siamo disarmati e sulle quali non abbiamo, realisticamente, il potere d’influire in modo efficace, il Rotary ritiene che per la promozione della pace possiamo fare molto, e insiste, in particolare, sulla “pace positiva”. Quando, durante una seduta formativa all’assemblea internazionale di Orlando, se n’è parlato, uno dei governatori presenti ha obiettato: “ma la pace è sempre positiva”… Certo, ma qui “positivo” non significa che si tratta di una cosa buona, che è ovvio e scontato. Spesso si pensa alla pace come interruzione dei conflitti e delle violenze: questa è, secondo la definizione del sociologo norvegese Johan Galtung, la “pace negativa”, intesa, cioè, come assenza (o cessazione) di guerra e violenza fisica; ma accanto ad essa si trova appunto la “pace positiva”, che nasce da cooperazione, equità, empatia, armonia, amicizia, affetto. Abbracciarla significa assumere un atteggiamento conciliante, tollerante, aperto, sensibile alle esigenze degli altri, che il Rotary ci sollecita a coltivare a livello individuale, e poi famigliare e lavorativo, e a praticare in generale con chi ha relazioni con noi e, in campo più specificamente rotariano, nelle relazioni fra i membri dei Club, fra i Club, fra i distretti, fra i soci in genere, nella convinzione che noi non abbiamo la possibilità di andare a negoziare la pace nei vari teatri di guerra, ma siamo in grado di agire efficacemente a un altro livello, creando, ciascuno a suo modo e nel suo piccolo, un clima pacifico i cui effetti, assommati, possono essere significativi.
Non mi sono mai stati simpatici gli atteggiamenti moralistici e non vorrei che quello che sto dicendo sembrasse una forma di moralismo a buon mercato, un “embrassons nous” da due soldi, ma penso che, nella sua semplicità, l’invito del Rotary ad assumere un approccio pacifico a tutti i livelli, senza illuderci che il conflitto non esista ma cercando di non enfatizzarlo mai, di prendere le distanze dai problemi quando diventano troppo roventi, di mediare, di metterci nei panni degli altri, di non credere che le ragioni siano tutte da una parte (la nostra) sia una strada efficace.
Il Rotary, come, in generale, le associazioni che hanno una certa portata e penetrazione sociale, non può che essere, per molti versi, uno specchio della società e sarebbe sciocco e illusorio pensare che di essa non rifletta disarmonie, conflitti, invidie, gelosie, arrivismi, narcisismi, volontà di rivalsa, arroganza, vanità, voglia di apparire, comparire, prevaricare e conquistarsi spazi di visibilità e, usando una parola grossa, e un po’ sproporzionata alla situazione, di potere… Ma ci piace pensare che della società il nostro sodalizio rappresenti la parte migliore: e l’insistenza, a livello internazionale, sul tema della pace positiva, ci indica una delle vie da percorrere per far sì che sia davvero così.
In un mondo pieno di conflitti come quello del XVII secolo, nel quale la potenza militare, collegata all’arroganza del potere e alla prevaricazione, era considerata, a livello internazionale, un valore primario, Ambrogio Spinola solleva, con empatia, grazia e cortesia, il nemico che ha appena sconfitto e dà così, almeno a livello individuale, l’unico che in quel frangente sia per lui possibile, un massaggio di pace. Oggi che, nonostante tutto, abbiamo fatto grandi passi sulla via di una cultura della pace, quel fair play individuale può forse avere, se coltivato in maniera massiva, effetti dirompenti a livello di comportamenti collettivi. Il Rotary ci propone d’impegnarci per realizzare questa potenzialità, certo che il nostro impegno, inquadrato, per di più, nei programmi internazionali e distrettuali che ho citato, darà risultati positivi importanti.
Concludo con una sfida: il nostro Distretto non ha mai trovato, nella sua storia, un candidato che abbia i requisiti per essere proposto per una borsa della pace: possibile che non riusciamo, oggi che su questi temi la sensibilità è tanto più forte, a segnalarne uno?
Buon mese di febbraio e a presto!