Carissime, carissimi,
il calendario rotariano, che definisce, ogni mese, il tema della lettera del governatore, per gennaio propone l’“azione professionale”. Si tratta di un argomento che tratto abitualmente nelle visite ai Club, ormai giunte quasi al termine, e del quale quindi molti soci hanno già sentito parlare: colgo dunque l’occasione per presentarlo in forma scritta e svilupparlo un po’.
In una delle mie visite di dicembre un rotariano esponente di spicco di una eccellenza artigiana (come ne abbiamo tante nel nostro sodalizio) ha detto, senza mezzi termini: “l’artigianato è morto”.
Un’affermazione provocatoria, che, come tutte le provocazioni, porta all’estremo una situazione reale: quella della crisi attuale delle abilità e dei mestieri che sono alla base della sapienza artigiana che ha costituito, per secoli, uno dei punti forti della nostra economia e nella quale si associano tecnica, creatività, cultura. D’altra parte, non servono indagini sociologiche o economiche approfondite per renderci conto di una cosa che è sotto gli occhi di tutti: fatichiamo a individuare intorno a noi persone che abbiano le competenze adeguate per aiutarci a risolvere efficacemente i problemi anche banali che incontriamo nella nostra quotidianità e richiedono una qualche perizia tecnica.
Sono partito dall’artigianato con le sue eccellenze, ma lo stesso discorso vale per molti altri aspetti della società di oggi: ognuno di noi, nel suo ambito professionale particolare, può testimoniare quanta superficialità, quanto pressapochismo, quanta improvvisazione regnino (dappertutto, ma con conseguenze ovviamente più catastrofiche e visibili in contesti d’interesse vitale come quelli medici oppure quello edilizio…). D’altronde, conseguire un titolo di studio è diventato molto più facile (nei sistemi di valutazione ministeriale, ad esempio, è considerato un titolo di merito dei corsi di studio avere il numero più alto di laureati nel minor tempo, indipendentemente dai risultati), si è diffusa sempre più una mentalità per la quale non contano talenti, conoscenze, impegno al fine di raggiungere un traguardo ma bastano passione, volontà e fiducia in se stessi (un’idea – falsa – che il sistema dello spettacolo, soprattutto televisivo, e quello dei social media incoraggiano), nell’offerta di servizi di vario genere ha la meglio chi propone il prezzo più basso, a prescindere dal resto (ho visto studi di avvocati con vetrina sulla pubblica via in cui campeggia una decalcomania con i prezzi delle singole prestazioni…), e via dicendo: è ovvio che i valori della professionalità e della competenza, in un contesto del genere, stanno perdendo credito.
Ma che cosa c’entra il Rotary con questo? Il fatto è che, a ben vedere, su quei valori si è sempre fondato. Negli ultimi anni non si parla più delle cosiddette “classifiche”, e cioè degli elenchi di categorie professionali all’interno delle quali si viene inseriti nel momento in cui si entra in un Club. In passato costituivano una componente centrale dell’organizzazione rotariana, che condizionava fortemente la composizione dell’effettivo, in quanto ognuna di esse poteva comprendere un solo socio, che si presupponeva fosse il migliore nel suo campo: erano un segno dell’importanza attribuita nella nostra associazione alla varietà e pluralità di esperienze di lavoro ma anche – e questo mi importa sottolineare ora – al successo professionale. Tradizionalmente il Rotary si rivolgeva principalmente, anche se non esclusivamente, ai rappresentati di alcune professioni – come quelle cosiddette “liberali”, quelle imprenditoriali, le alte dirigenze, mentre oggi le cose sono cambiate e incoraggiamo e promuoviamo“ elevati standard etici nell’esercizio di ogni professione, il riconoscimento della dignità di ogni occupazione, il riconoscimento dell’occupazione di ogni rotariano quale opportunità per diffondere il valore del servire”. Ma, a ben vedere, il principio di base non è per nulla mutato: si è fatto solo più esteso e capillare, per abbracciare qualunque tipo di attività ed esperienza di vita e insistere maggiormente, oltre che sul successo, sulla crescita. Lo sintetizzerei dicendo che il Rotary chiede oggi ai suoi soci di svolgere un ruolo nella società e di svolgerlo bene, con coscienza e con la volontà di mettersi al servizio del benessere degli altri.
Non ho ricordato le classifiche, oggi ancora esistenti ma marginali, per volontà di esaltare i fasti del tempo passato (la laudatio temporis acti , già per Orazio che ha coniato l’espressione, è un effetto indesiderato dell’età senile dal quale è meglio guardarsi), me per mettere in rilievo il fatto che la valorizzazione della competenza e della professionalità, esercitate a ogni livello, fa parte, per così dire, del DNA del Rotary, di cui costituisce dunque un elemento caratterizzante. L’allargamento delle tipologie di attività rappresentate nella nostra associazione non va a detrimento di tale componente fondamentale, ma, anzi, ne aumenta esponenzialmente l’impatto.
Se la nostra società sta soffrendo di una crisi del valore attribuito a professionalità e competenze, il Rotary si trova dunque, grazie a questo suo DNA, nella posizione ideale per rispondere alla crisi. Ma in che modo? Testimoniando quel valore (anche soltanto grazie all’immagine che danno di sé i Club), fornendo esempi della sua efficacia (con progetti di servizio attuati come si deve), promuovendolo presso le generazioni più giovani (attraverso iniziative formative, di avvicinamento al mondo del lavoro, di facilitazione per chi si affaccia al campo dell’imprenditoria e non solo), difendendo e instillando, più in generale, l’idea che la crescita economica e quella culturale non sono che due facce della stessa medaglia. Diverse commissioni del Distretto stanno lavorando alacremente a questo scopo, che è per tutti noi un bel compito – e una bella sfida – da portare avanti nell’anno che si apre.
A proposito del nuovo anno: come immagine di apertura ho scelto quella di Giano (Ianus, nome legato a i anua, porta), dio romano con due volti che guardano in due direzioni opposte, a evocare il principio e la fine, l’entrata e l’uscita, il dentro e il fuori, e al quale era dunque dedicato il primo mese, Ianuarius appunto, gennaio. La ho tratta dall’edizione latina di un libro, la Cosmographia di Sebastian Münster, dove la si trova nel punto in cui comincia la sezione che riguarda Genova: una leggenda vuole infatti che la città sia stata fondata proprio da Giano, dal quale avrebbe preso il nome e al quale corrisponderebbe la sua caratteristica di rivolgersi verso il mare e verso i monti, come se avesse due facce. Proporvela mi è sembrato un modo originale per augurarvi buon anno, all’insegna di un inizio, un rinnovamento, una rinascita (questo è il senso ultimo delle feste di Capodanno) che riportino al centro della vita nostra e della nostra società i valori in cui crediamo, a partire da quello dell’impegno e della professionalità.